IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA NELL'ORDINAMENTO COSTITUZIONALE
di Massimo Prosperi

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Gli artt. 2 e 3 della Costituzione - 3. Gli artt. 13, 14 e 15 - 4. L’art 21 - 5. L’art. 27 II comma.

1. Premessa.
Il sistema costituzionale, al pari della legislazione ordinaria prima dell’approvazione della legge n. 657/96, difetta di una norma espressa che appresti tutela generale alla riservatezza.
Anche nella Carta costituzionale sono state individuate norme che difendono particolari aspetti della personalità, riproducendo grosso modo la passata situazione delle fonti di grado inferiore. Per contro la Costituzione riconosce espressamente alcune libertà che possono atteggiarsi a limite alla riservatezza, in caso di conflitto con quest’ultimo interesse.
La ricerca del suo fondamento costituzionale si pone quindi come un prius logico - giuridico senza il quale qualsiasi riconoscimento, anche esplicito, ma di livello gerarchicamente inferiore, sarebbe destinato a ritrarsi incondizionatamente davanti al contrasto con libertà aventi invece rango costituzionale, senza possibilità di attuare eventuali bilanciamenti.
Le maggiori resistenze ad ammettere l’inclusione nel sistema costituzionale del diritto alla riservatezza discendono forse dalla preoccupazione circa gli effetti che ne possono derivare.
Una volta compiuto questo passo, infatti, è logica conseguenza ritenere che il rapporto tra la riservatezza e le altre libertà costituzionali (in particolare quella di manifestare il proprio pensiero) si svolga su un piede di parità; il che apre la strada a reciproche limitazioni.

2. Gli artt. 2 e 3 della Costituzione.
Tra le molteplici norme costituzionali addotte come indici a sostegno del riconoscimento del diritto in esame, gli artt. 2 e 3 si prestano ad un discorso di respiro più generale rispetto alle norme successive che hanno invece un contenuto più definito e circoscritto a singoli aspetti della personalità umana.
La possibilità di fondare il rango costituzionale della riservatezza sull’art. 2 è stata in vario modo avversata, anche da parte di alcuni tra gli stessi suoi sostenitori.
Il problema generale all’interno del quale si può a grandi linee circoscrivere l’intero dibattito è quello che ruota intorno alla natura e funzione dell’art. 2. La spaccatura dottrinale si concentra sull’interrogativo se esso vada considerato come una sorta di clausola generale aperta [1], tale da permettere di non considerare l’elenco dei diritti di libertà costituzionalmente tutelati come un numero chiuso, oppure come una norma che riassume in sé le caratteristiche comuni alle libertà stesse, che però nella Costituzione risulterebbero tassativamente indicate. Se si accoglie quest’ultima interpretazione, cade tuttavia la possibilità di ampliare in via interpretativa tale elenco, dal quale resterebbe pertanto esclusa in radice la riservatezza stessa.
Per contro, l’art. 2 come norma aperta ha il sicuro pregio di conferire un certo grado di elasticità al testo costituzionale che, al pari della generalità delle norme scritte, soffre inevitabilmente dello scarto temporale che corre tra la sua entrata in vigore e i mutamenti storico – sociali sopravvenuti.
D’altro canto, si sente l’esigenza, di matrice garantista, di non permettere che la norma in esame possa fungere da varco incontrollato per l’ingresso nel sistema costituzionale di interessi e situazioni non contemplati in esso ab origine, con tutte le conseguenze che tale operazione porta con sé.
All’interno di questo scenario d’insieme si muovono le diverse opinioni sulla costituzionalizzazione del diritto alla riservatezza operato per il tramite dell’art. 2.
La sua natura di clausola generale è stata criticata da diversi punti di vista, ad esempio invocando una sentenza della Corte costituzionale, la n. 98 del 1979, "dove in tre righe è stato detto che l’elenco dei diritti di libertà contenuto nella Costituzione non può essere ampliato in via di interpretazione"[2].
Da parte di altri ci si è riferiti all’argomento testuale, indagando il significato e la storia dell’espressione "diritti inviolabili" contenuta nell’art. 2. In tale prospettiva si afferma che la scelta della parola "inviolabili" in luogo di "naturali", pur prospettata in seno alla Costituente, testimonia il rifiuto di impostazioni di tipo giusnaturalistico da cui deriverebbe la preclusione ad accordare tutela costituzionale a diritti che in essa non ricevono esplicita menzione e riconoscimento.
Su un piano diverso si svolge la critica di Fois [3]. Egli concentra l’attenzione sull’attributo dell’inviolabilità che l’art. 2 conferisce ai diritti cui è indirizzato, qualità che "implica il riferimento a diritti che siano, per così dire, situati alla sommità della scala gerarchica dei valori costituzionali"[4].
L’attributo dell’inviolabilità sancisce l’appartenenza dei diritti che di tale carattere partecipano all’essenza stessa della Costituzione, "un nucleo che si ritiene sia in ogni caso intangibile ed immodificabile: immodificabile cioè anche di fronte allo stesso potere di revisione costituzionale"[5], con riferimento all’essenza dei diritti stessi. Facendo così attenzione soprattutto alle conseguenze dell’inclusione del diritto alla riservatezza nell’ordine costituzionale, l’autore lo condiziona all’accertamento positivo sull’inviolabilità, concludendo che la riservatezza sembra non possedere tale attributo.
Il sicuro sostegno alla tesi positiva sulla utilizzabilità dell’art. 2 si può trovare allontanandosi dalle concezioni troppo formalistiche o da quelle che concentrano l’analisi sul momento degli effetti, piuttosto che sul nucleo effettivo del problema.
Innanzi tutto non si possono non evocare le sentenze delle Corti di Cassazione e Costituzionale, che mostrano chiaramente di accogliere la tesi favorevole all’art. 2 Cost.
In ogni caso, al di là di seppur illustri referenti giurisprudenziali, sembra opportuno evidenziare il carattere fondamentalmente "personalistico" della Costituzione italiana [6] che si risolve in una maggiore considerazione e dignità dei diritti della personalità umana, rispetto ad altri interessi che pur ricevono tutela costituzionale.
Partendo da questa impostazione di fondo sui valori di base cui la Costituzione è intimamente informata, si apre la prospettiva di una valutazione del ruolo dell’art. 2 da un punto di vista sostanziale, teleologico e non astratto dal divenire storico – sociale, mantenendo in subordine i criteri formalistici e di rigida analisi testuale.
In questo contesto "l’art. 2 avrebbe quindi il compito di garantire costituzionalmente tutti quegli aspetti che, in un determinato momento storico, in base ad un’interpretazione evolutiva della Costituzione, il diritto inviolabile può assumere, in vista di una sua completa tutela.
In tal modo si realizza il fine dell’ordinamento, di proteggere in maniera efficace la persona umana"[7].
La natura di "norma aperta" dell’art. 2 risponde alla precisa e fondamentale funzione di conferire al testo costituzionale quel necessario grado di elasticità che permette l’adeguamento del diritto alle modificazioni sociali e culturali cui il consorzio umano fatalmente è soggetto e quindi di garantire dignità e rango costituzionale, in una prospettiva realistica della "costituzione vivente", ad interessi che il contesto sociale ha reso meritevoli non di una tutela semplice, ma di una tutela rafforzata tanto da limitare in questo modo lo stesso potere del legislatore ordinario (salva sempre la facoltà di servirsi dell’iter legis aggravato ex art. 138 Cost.), anche se prima tale protezione non si prospettava come necessaria.
Chiaramente trattasi di interessi non completamente nuovi o estranei al tessuto costituzionale (giacché altrimenti sarebbe necessario innescare i suddetti rituali meccanismi di revisione costituzionale con lo scopo opposto di introdurre piuttosto che espungere), ma che invece trovano precisi addentellati in principi frutto di sussunzione e astrazione e costituiscono dunque il risultato finale di un processo di specificazione e articolazione pienamente legittimo e necessario.
Ecco che, in base a tali considerazioni, il riconoscimento costituzionale della riservatezza perde quel sospetto di forzatura del testo costituzionale nel momento stesso in cui soddisfa il fine superiore di apprestare effettiva tutela alla persona umana e alle sue esigenze fondamentali.
Tra queste ultime la dottrina più sensibile e attenta pone a pieno titolo quella del riserbo, che "costituisce una necessità addirittura biologica dell’uomo, è aspetto inalienabile della persona umana"[8].
La riservatezza inoltre, pur rivestendo rilevanza autonoma, svolge un non meno basilare ruolo strumentale: la garanzia di una sfera sottratta alle intrusioni di terzi e la sicurezza che determinate informazioni resteranno private rappresentano la condizione "per assicurare alla persona il pieno godimento dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione" [9] e cioè: la dignità, il pieno e libero sviluppo della persona e l’effettivo esercizio di altre libertà fondamentali, quali, esemplificando, la libertà (negativa) di manifestazione del pensiero, l’inviolabilità di domicilio e corrispondenza [10].
L’altra norma che consente un approccio generale al tema della rilevanza costituzionale della riservatezza è l’art. 3 [11].
Tale disposizione è stata analizzata sia in riferimento al I comma, laddove si parla di "pari dignità sociale", sia al II comma, il quale contiene la garanzia del "pieno sviluppo della persona umana".
Le posizioni critiche circa il possibile uso di tali formule come indici di tutela costituzionale della vita privata, che invero sembrano prevalere sulle opinioni positive, si fondano su molteplici argomentazioni.
Alcune di queste sono di carattere formale e indagano la natura e la funzione dell’art. 3 nel generale contesto costituzionale: si afferma che sarebbe erroneo ritenere che il principio di eguaglianza possa, in assenza di una specifica relatio ad altre norme costituzionali, valere a fondare diritti soggettivi: "tale principio, invece, è produttivo solo di "effetti riflessi" sul contenuto dei singoli diritti ma solo se ed in quanto essi risultino già specificamente riconosciuti".
La disposizione in esame non potrebbe quindi essere invocata per attribuire cittadinanza costituzionale al diritto alla riservatezza, essendo la sua operatività relegata ad un ambito per così dire di secondo grado, una volta risolta positivamente, ma per altra via, la questione dell’esistenza costituzionale del diritto in oggetto.
Le altre critiche, varie ed eterogenee, sono di tipo sostanziale.
Da parte di alcuni si lamenta l’eccessiva genericità della disposizione [12]. Altri si interrogano sulla reale natura di ostacolo allo sviluppo della persona rappresentato dalla conoscenza di notizie private e dall’"attacco alla sfera privata da parte soprattutto dei grandi mezzi di comunicazione di massa" [13].
Altri ancora fanno appello alla marcata dimensione sociale cui l’art. 3 sarebbe ispirato: gli interessi da esso tutelati, dignità e sviluppo della persona, andrebbero visti in un’ottica eminentemente sociale, che non può non contrapporsi alla dimensione individuale in cui si esplicano la vita privata e la riservatezza [14].
L’esattezza di tali affermazioni deve tuttavia essere ridiscussa alla luce delle mutate caratteristiche del problema in relazione all’avvento della c.d. "società dei computers" e, nello specifico, alle conseguenti modificazioni a cui il concetto di privacy è andato incontro [15], per cui non è più possibile, né opportuna, una precisa separazione tra individualità e collettività, se non si vuole incorrere in una falsa e incompleta rappresentazione del problema.
Infine, il riferimento alla dignità sociale contenuto nel I comma dell’art. 3 è giudicato improprio da parte di chi evidenzia come il concetto di dignità miri a tutelare in via diretta interessi diversi dalla riservatezza, che sono identificabili nel decoro e nella reputazione della persona [16].
La dottrina favorevole all’utilizzo dell’art. 3 come suggello costituzionale del diritto alla riservatezza ha accentuato la necessità della garanzia di una sfera privata inviolabile affinché la dignità [17], ma soprattutto lo sviluppo della persona, siano effettivamente assicurati e non restino invece pura affermazione di principio o addirittura lettera morta. In realtà, su tutti gli spunti critici appena esposti, sembrano prevalere le impostazioni che reclamano la diretta operatività dell’art. 3 quale garanzia del libero sviluppo della persona.
A sostegno di questa impostazione si vedano le considerazioni esposte nella famosa sentenza della Corte Costituzionale tedesca relative al diritto all’autodeterminazione individuale (Individuelle Selbstbestimmung) e informativa (Informationelle Selbstbestimmung) quali presupposti per l’esercizio effettivo di libertà democratiche, anche di natura collettiva (salvaguardando la dimensione sociale dell’art. 3) e quindi direttamente funzionali proprio al pieno sviluppo della persona umana.
Quello che emergerà come principio trasversale alle varie problematiche trattate in questa tesi, soprattutto nella seconda parte, è proprio il ricorso all’art. 3 Cost. come dato normativo chiave nella soluzione di tutte le questioni relative non solo al riconoscimento del diritto di privacy, ma anche alla sua effettiva tutela.

3. Gli artt. 13, 14 e 15.
Concluso l’esame delle norme ad approccio generale, ci si può ora rivolgere alle disposizioni costituzionali di ambito circoscritto a ben definiti diritti.
Anche queste norme, che sanciscono l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, della libertà e segretezza della corrispondenza e ogni altra forma di comunicazione, sono state esaminate al fine di attribuire rango costituzionale al diritto alla riservatezza. In questa prospettiva la libertà personale viene intesa non tanto e non solo in senso fisico, ma con riguardo alla persona nella sua interezza, ivi compresa la sua sfera spirituale e la sua personalità.
Parimenti, domicilio e corrispondenza sono interpretati come proiezione spaziale e spirituale dell’individuo [18].
Invero, la posizione dominante in dottrina afferma che le disposizioni in esame si riferiscono in via primaria a diritti distinti da quello alla riservatezza [19], oppure ad aspetti settoriali e manifestazioni parziali di essa [20], o ancora a diritti qualificati "affini", con particolare riferimento al diritto al segreto [21].
L’atteggiamento piuttosto diffuso che sembra emergere dalle posizioni esaminate è di pressoché generalizzato sfavore verso l’utilizzo delle tre norme in esame come esclusiva ancora costituzionale del diritto alla riservatezza, forse per il timore di indulgere ad operazioni ermeneutiche non sufficientemente supportate da adeguati indicatori di diritto positivo [22].

4. L'art. 21.
Questa norma è stata utilizzata dagli interpreti per due operazioni tra loro perfettamente antitetiche volte l’una a negare la rilevanza costituzionale del diritto alla riservatezza perché ritenuto incompatibile con la libertà di espressione; l’altra a fondare il suo rango costituzionale proprio su questa disposizione.
Punto di avvio della prima tesi è l’art. 21 considerato in positivo, il quale tutela la libertà di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, potendosi esprimere attraverso la cronaca, l’arte, la scienza, la storiografia.
E’ assai probabile che l’esercizio di questa libertà possa entrare in conflitto con l’interesse alla riservatezza. La manifestazione del pensiero si realizza, infatti, mediante l’apprendimento delle notizie, la comunicazione e il libero scambio delle idee. In altre parole essa ha il necessario presupposto nella libertà di informarsi e di informare, di modo che ogni limite alla circolazione delle informazioni si traduce, ipso facto, in un limite alla manifestazione del pensiero.
Queste premesse possono senz’altro essere condivise. Tuttavia, è necessario precisare che, già dall’applicazione dei principi giuridici generali, e al di là di riferimenti specifici, si ricava che nessuna libertà ha carattere assoluto, ma, nel momento in cui ci si muove dall’enunciazione astratta di principio al suo inserimento in un contesto ordinamentale, essa e le altre libertà soggiacciono a reciproci condizionamenti.
In altri termini, entrano a far parte di un sistema dal quale traggono gli strumenti essenziali alla loro realizzazione, ma anche, necessariamente, le correlative limitazioni [23].
Ciò si traduce, in concreto, nella conseguenza che le attività strumentali alla manifestazione del pensiero, quelle di ricerca e divulgazione delle informazioni, non possono essere illimitate, ma debbono misurarsi con altre libertà parimenti garantite, a condizione che se ne ammetta il rango costituzionale [24].
Da quest’ultima considerazione discende poi l’importante corollario che l’informazione non rappresenta un valore assoluto, ma può essere reputata tale solo se funzionale allo sviluppo della persona che, in taluni casi, è maggiormente assicurato dalla non informazione, in ossequio al diritto di non sapere quale presupposto per la libera autodeterminazione personale.
L’art. 21 è stato anche considerato in chiave completamente opposta a quella ora descritta, cioè come norma su cui basare il fondamento costituzionale del diritto alla riservatezza, conducendo al singolare risultato che l’art. 21 sarebbe limite di sé stesso, poiché la manifestazione del pensiero troverebbe i suoi limiti nella stessa norma che la riconosce.
La particolare interpretazione in esame [25] muove dal rilievo che l’art. 21, così come riconosce il diritto, esercitabile in positivo, di manifestare il proprio pensiero, parimenti ed intrinsecamente prevede la possibilità che un individuo abbia anche la libertà di tacere, di manifestare parzialmente il proprio pensiero o di rivelarlo soltanto ad alcuni soggetti, giacché, e ciò è evidente, la norma in questione non stabilisce un dovere di esprimere il pensiero.
Da queste premesse discende che tutte le attività di terzi finalizzate a carpire, apprendere e diffondere un pensiero che l’individuo non vorrebbe manifestare, ledono la sua libertà negativa garantita dall’art. 21. Il "diritto al silenzio", proprio in quanto partecipe degli stessi valori e presupposti per i quali è stato ritenuto meritevole di riconoscimento costituzionale il diritto di parlare, ha una dignità ed un’estensione pari a quest’ultimo, senza possibilità di creare una sorta di gerarchia interna tra le due libertà, trattandosi, invece, di situazioni pariordinate e parallele [26].
Anche la giurisprudenza, ormai consolidata, si è mossa lungo queste linee guida. Nelle svariate sentenze di merito che hanno affrontato il problema del conflitto tra i due interessi in esame, si ravvisa la tendenza a risolvere i reciproci rapporti attraverso l’applicazione di un criterio di bilanciamento, relativo e non assoluto, ispirato ai tre parametri dell’interesse sociale della notizia, della verità dei fatti narrati e della continenza [27].

5. L'art. 27 II comma.
Alquanto scarsi sono gli appigli cui far riferimento per attribuire garanzia costituzionale alla riservatezza per il tramite dell’art. 27 II comma. Come è noto, questa disposizione sancisce il principio della presunzione di non colpevolezza, cioè l’esigenza e il dovere che l’imputato sia considerato innocente, sia in seno al processo, sia nel contesto sociale, sino alla condanna definitiva.
Le perplessità discendono dal fatto che non esiste accordo su quale sia l’interesse che la norma mira a proteggere (reputazione e onore o riservatezza in senso stretto), e, in seconda battuta, se essa abbracci solo garanzie di natura squisitamente processuale (divieto di applicare misure e trattamenti incompatibili con lo stato di presunta innocenza), oppure si possa estenderne il raggio d’azione, in via mediata, a beni quali reputazione e riservatezza che acquistano importanza nell’ambito dei rapporti extraprocessuali e sociali [28].
Tuttavia, anche ammettendo che la norma in esame, tesi non pacifica in dottrina, copra specificamente la riservatezza, c’è da dire che essa interesserebbe comunque un ambito troppo settoriale e particolare, da cui sarebbe metodologicamente non corretto o quantomeno azzardato astrarre una tutela di carattere generale.
Ciò perché la norma si riferisce ad un soggetto che versa in uno status ben preciso, la cui condizione non può evidentemente essere estesa alla generalità dei consociati. L’art. 27 II comma conserva pur sempre la valenza, da tenere presente in chiave sistematica, di indice di natura culturale (considerazione comune alle altre norme costituzionali a carattere settoriale), atta a testimoniare che l’esigenza del riserbo ha trovato considerazione all’interno della Carta.
L’indagine appena compiuta permette di affermare che dalla mancanza di una norma costituzionale espressa a tutela della riservatezza non può certo dedursi, sic et simpliciter, il corrispondente disinteresse del Costituente. Gli argomenti che si oppongono a tale tesi scaturiscono sia dalle numerose disposizioni dettate a tutela di aspetti particolari del diritto unitario, sia dalle norme a carattere generale, secondo la lettura che se ne è data.
La considerazione unitaria di tutti questi dati, insieme alla interpretazione del microsistema risultante dalle reciproche relazioni tra clausole generali e norme specifiche, porta ad asserire, in base ad un’interpretazione evolutiva del testo costituzionale, la sicura ed innegabile rilevanza, in seno ad esso, del diritto alla riservatezza [29].

NOTE.
1. Per la decisa affermazione di questa posizione e sul contenuto immediatamente precettivo dell’art. 2 v., tra gli altri, P. Zatti, Il diritto alla identità e l’"applicazione diretta" dell’art. 2 Cost., in AAVV, Il diritto alla identità personale, a cura di G. Alpa e M. Bessone, Padova, Cedam, 1981, pp. 55 ss.
2. A. Pizzorusso, I profili costituzionali di un nuovo diritto della persona, in AAVV, Il diritto alla identità personale, cit., p. 30. Ad ogni modo, l’autore stesso tempera l’importanza del riferimento giurisprudenziale: «Poiché tuttavia mi sembra che la Corte costituzionale non possa cancellare con tre righe di motivazione un’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale ormai cospicua, penso che a questo precedente non si possa dare gran peso».

3. S. Fois, Questioni sul fondamento costituzionale del diritto alla «identità personale» , in AAVV, L’informazione e i diritti della persona, Jovene, Napoli, 1983, pp. 159 ss.
4. Ibidem, p. 161.
5. Ibidem, p. 161.
6. Cfr. F. Mantovani, Diritto alla riservatezza e libertà di manifestazione del pensiero con riguardo alla pubblicità dei fatti criminosi, in AAVV, Il diritto alla riservatezza e la sua tutela penale, Atti del terzo simposio di studi di diritto e procedura penali, Varenna, Villa Monastero, 5-7 settembre 1967/ promosso dalla Fondazione "Avv. Angelo Luzzani" di Como - Milano, Giuffrè, 1970, p. 391 ss., in cui è presente anche un’analisi delle diverse correnti di pensiero in seno alla Costituente e della loro influenza sui valori di fondo recepiti nel testo costituzionale.
7. T. A. Auletta, Riservatezza e tutela della personalità, Milano, Giuffrè, 1978, pp. 42-43.
8. A. Cataudella, Scritti giuridici, Padova, Cedam, 1991, p. 545.
9. A. Belvedere, Riservatezza e strumenti d’informazione, in Dizionario del dir. priv., Milano, 1980, p. 750. L’autore si dice contrario, tuttavia, ad una rilevanza costituzionale di tipo autonomo del diritto alla riservatezza, esaltandone solo il citato ruolo strumentale.
10. F. Mantovani, Op. cit., pp. 399 – 400. Il profilo strumentale del diritto alla riservatezza trova un completo riconoscimento nella sentenza della Corte Costituzionale tedesca, Op. cit., p. 422: "Mit dem Recht auf informationelle Selbstbestimmung wären eine Gesellschaftsordnung und eine diese ermöglichende Rechtsordnung nicht vereinbar, in der Bürger nicht mehr wissen können, wer was wann und bei welcher Gelegenheit uber sie weiß. Wer unsicher ist , ob abweichende Verhaltensweisen jederzeit notiert und als Information dauerhaft gespeichert, verwendet oder weitergegeben werden, wirdversuchen, nicht durch solche Verhaltensweisen aufzufallen. Wer damit rechnet, daß etwa die Teilnahme an einer Versammlung oder einer Bürgerinitiative behördlich registriert wird und daß ihm dadurch Risiken entstehen können, wird möglicherweise auf eine Ausübung seiner entsprechenden Grundrechte (Art. 8, 9 GG) verzichten. Dies wurde nicht nur die individuellen Entfaltungschancen des einzelnen beeinträchtigen, sondern auch das Gemeinwohl, weil Selbstbestimmung eine elementare Funktionsbedingung eines auf Handlungs – und Mitwirkungsfähigkeit seiner Bürger begründeten freiheitlichen demokratischen Gemeinwesens ist". Nel passo citato la Corte sviluppa il concetto di autodeterminazione individuale quale presupposto per l’esercizio delle libertà democratiche. Esso risulta gravemente inibito dalla non conoscenza della sorte delle informazioni personali cedute dagli individui. Chi ignora cosa verrà raccolto e da chi non sa quali comportamenti può legittimamente tenere e, temendo che alcuni fatti siano schedati, rinuncia ad esempio a partecipare ad assemblee, manifestazioni, riunioni sindacali, cioè all’esercizio di diritti costituzionali. Ciò avrebbe conseguenze non solo sul suo sviluppo personale, ma anche su quello collettivo, poiché l’autodeterminazione è una condizione elementare che si basa sulla possibilità di agire e coagire dei cittadini e quindi sulla democrazia. Il libero sviluppo della personalità presuppone la protezione del singolo dalla memorizzazione, utilizzazione e trasferimento incontrollato di dati personali.
11. Cfr. F. Bricola, Prospettive e limiti della tutela penale della riservatezza, in AAVV, Il diritto alla riservatezza e la sua tutela penale, Atti del terzo simposio di studi di diritto e procedura penali, Varenna, Villa Monastero, 5 – 7 settembre 1967/ promosso dalla Fondazione "Avv. Angelo Luzzani" di Como – Milano, Giuffrè, 1970, p. 84, il quale evidenzia il parallelismo tra l’art. 3 Cost. e gli artt. 1 e 2 della Costituzione tedesca che impiegano formule analoghe a tutela della dignità e dello sviluppo della personalità. Sono queste le disposizioni in cui "la dottrina tedesca ravvisa l’affermazione costituzionale del diritto alla vita privata".
12. V., ad esempio, S. Fois, Questioni sul fondamento costituzionale del diritto all’«identità personale» , in AAVV, L’informazione e i diritti della persona, Jovene, Napoli, 1983, p. 167. L’autore si dimostra contrario all’utilizzazione delle clausole generali dell’art. 3: "il richiamo al valore della persona umana rischia di diventare l’invocazione ad una specie di formula magica per dar forma a fantasmi normativi tali da implicare le conclusioni più diverse e più opposte".
13. F. Bricola, Op. cit., p. 84. In particolare, secondo l’autore, «non è provata la correlazione fra violazioni della sfera privata e impedimento al pieno sviluppo della persona umana», ed anzi giunge ad affermare che « una migliore conoscenza della vita privata può giovare ad un migliore inserimento sociale dell’individuo» . Da parte di altri, v., per tutti, T. A. Auletta, Op. cit., pp. 2 ss., è stato giustamente evidenziato come gli individui spesso coltivino l’interesse opposto a mantenere divisi i diversi ambienti in cui, per piacere o necessità, si trovano a vivere le proprie esperienze, con un minimo di continuità. Capita facilmente che il soggetto dia di sé una rappresentazione diversa a seconda del contesto in cui si trova, avendo cura che gli ambienti tra loro eterogenei e separati (ad esempio luogo di lavoro e cerchia di amici) non abbiano a partecipare di tali diverse rappresentazioni.
14. F. Mantovani, Op. cit., pp. 388 ss. L’autore riferisce tale opinione per poi criticarla sotto il profilo della contrapposizione troppo decisa tra civis e singolo, evidenziando invece l’opportunità di riferirsi alla persona umana integralmente intesa. Nello stesso senso v. R. Tommasini, L’interesse alla riservatezza ed i valori della persona di fronte alla libertà di manifestare il pensiero, in AAVV, L’informazione e i diritti della persona, cit., p. 40.
15. Cfr., per tale tema, S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 29 ss.
16. In tal senso v. A. Cataudella, Op. cit., p. 546.
17. Anche l’elemento della dignità, spesso passato in secondo piano dalla dottrina, offre importati appigli al tema della rilevanza costituzionale della riservatezza. Il punto più spinoso è quello di fornire un concetto di dignità umana che si armonizzi con le esigenze definitorie e di rigore concettuale proprie del diritto. Per un inquadramento giuridico del valore della dignità umana v. A.M. Valenti, La dignità umana quale diritto inviolabile dell’uomo, Perugia, 1995, pp. 9 ss.
18. G. Morsillo, La tutela penale del diritto alla riservatezza, Milano, Giuffrè, 1966, p. 274.
19. Tra le rare voci contrarie cfr.: A.M. Sandulli - A. Baldassarre, Profili costituzionali della statistica in Italia, in Dir. soc., 1973, pp. 382-383, nota 87: « a livello costituzionale, tale diritto è riconosciuto e garantito dagli artt. 13 (che, occorre ripeterlo, si riferisce pure alla libertà personale morale, ossia anche ai beni immateriali inerenti o attinenti alla persona fisica), 14, 15 Cost.» . Inoltre anche la giurisprudenza di merito, oltre a quella costituzionale già citata, ha, in alcune sentenze, posto a rapporto diretto corrispondenza epistolare e riservatezza. Si vedano, in questa prospettiva, le seguenti sentenze: Pretura di Verona 30 ottobre 1990 (in Giur. merito, 1992, p. 852); Tribunale di Milano 30 giugno 1994 (in Foro it., 1995, I, p. 1667) e 15 settembre 1994 (in Dir. Informatica, 1995, p. 626, nota (Ricciuto). Nelle suddette decisioni si trova ribadito, indipendentemente dal caso di specie, il diritto alla riservatezza epistolare. In particolare la seconda sentenza lo definisce come la legittima aspettativa che l’autore ripone nel destinatario circa il mantenimento del più rigoroso riserbo in merito al contenuto della corrispondenza. Anche la Corte di Giustizia delle Comunità europee (sentenza del 18 maggio 1982, in Riv. dir. internaz., 1983, p. 893) ha ravvisato l’esistenza, tanto nell’ordinamento comunitario, quanto in quelli degli Stati membri, di norme a tutela della riservatezza della corrispondenza (nella fattispecie tra avvocato e cliente).
20. V., tra gli altri, F. Bricola, Op. cit., pp. 80-81; F. Mantovani, Op. cit., pp. 387-388; A. Belvedere, Op. cit., p. 750: la Costituzione presenta «varie disposizioni che regolano aspetti parziali del problema (talora insieme ad altri interessi), ma che non offrono alcun criterio per formulare una norma generale».
21. Sull’argomento v. A. Cataudella, Segreto, privato e cronaca, in AAVV, Il riserbo e la notizia, cit., pp. 89 ss., il quale, nel precisare i caratteri distintivi del segreto rispetto al privato, rileva che, in relazione agli artt. 14 e 15 Cost., sicuramente c’è coincidenza tra ambito del segreto e ambito del privato, ma ciò ha indotto « una parte della dottrina a spiegare tale normativa esclusivamente in chiave di difesa del segreto: "segreto domestico" e "segreto della corrispondenza"». Tuttavia, contro l’assolutezza di tali affermazioni, si deve notare che « non vi è, peraltro, un interesse del soggetto a tenere segreti tutti gli eventi che si verifichino nell’ambito spaziale del domicilio o siano affidati a mezzi riservati di comunicazione». Quindi, a seconda della natura delle notizie, il soggetto avrà interesse a limitarne, in misura variabile, la circolazione ( notizie riservate), ovvero ad escluderla del tutto (notizie segrete), oppure ancora non si opporrà a consentirne la diffusione. L’autore, tuttavia, esclude che le norme in esame siano pertinenti al tema della riservatezza, poiché direttamente finalizzate ad impedire non l’indebita divulgazione di notizie riservate ma, più precisamente, il loro apprendimento: v. A. Cataudella, La tutela civile della vita privata, Milano, Giuffrè, 1972, p. 27.
22. In sintesi, e per tutti, v. A. Pizzorusso, Sul diritto alla riservatezza nella Costituzione italiana, in Prassi e Teoria, 1976, p. 37: «pur contribuendo indubbiamente alla tutela della riservatezza, le norme di questo tipo non possono dunque essere considerate come il fondamento di un corrispondente diritto costituzionale, ma soltanto essere utilizzate per operazioni interpretative dirette a combinare insieme gli effetti di precetti diversi».
23. I limiti all’art. 21 sono soliti essere classificati in interni ed esterni: tra gli altri v. Mantovani, Op. cit., pp. 415 ss: «i primi, ricavabili dalla sola considerazione degli interessi e dei valori che sottostanno al riconoscimento del diritto in questione nel nostro ordinamento, nonché dalla formulazione letterale del medesimo, al di fuori dell’esigenza di tutelare altri interessi diversi. I secondi, desumibili dalla esigenza di salvaguardare altri interessi, individuali, collettivi, pubblici, coi quali il diritto di manifestazione del pensiero può entrare in collisione». Tra i limiti interni alcuni sono desumibili dalla stessa formulazione letterale dell’art. 21, la quale, « col parlare di "pensiero proprio", porta, a rigore, ad escludere dalla fattispecie ivi prevista, sia il "non pensiero" sia "il pensiero non proprio"» . Sulla problematica dei limiti esterni al diritto d’informare v., inoltre, C. Chiola, L’informazione nella Costituzione, Padova, Cedam, 1973, pp. 92 ss.
24. Per la questione si rinvia alle considerazioni esposte circa gli artt. 2 e 3 Cost. e alla bibliografia ivi richiamata, nonché al prosieguo dell’esposizione.
25. A. Cataudella, Op. ult. cit., pp. 32 ss.
26. Sull’affermazione della pari dignità della libertà di parlare e di tacere v. A Cerri, Libertà negativa di manifestazione del pensiero e di comunicazione - diritto alla riservatezza: fondamento e limiti, in Giur. Cost., 1974, I, p. 611 ss. Contra: A. Pizzorusso, Op. ult. cit., p. 38: secondo l’autore il difetto di questa tesi sta «nel fatto che essa non tiene conto della circostanza che la tutela spettante alla libertà "negativa" di manifestazione del pensiero non può essere identica a quella propria della corrispondente libertà "positiva" giacché, mentre può ammettersi che, almeno di regola, sia rimesso all’insindacabile volontà del singolo il potere esclusivo di decidere se manifestare o meno un’opinione oppure una notizia, è invece evidente che al singolo come tale normalmente non è rimesso un corrispondente potere di tenere segreta qualunque opinione o qualunque notizia», pena l’annullamento del diritto di cronaca.
27. V., a titolo di esempio, la sentenza della Corte d’appello di Roma dell’11 febbraio 1991, in Dir. aut., 1992, p. 377, nella quale, inoltre, la libertà di manifestazione del pensiero e la riservatezza vengono entrambe considerate dotate di riconoscimento costituzionale.
28. Così: F. Mantovani, Op. cit., p. 388, nota n. 9.
29. In questo senso v. A. Pizzorusso, Op. ult. cit., pp. 39 – 40, il quale ritiene che «il riconoscimento, anche a livello costituzionale, del diritto alla riservatezza abbia a fondarsi, più che su una od un’altra norma scritta, su un complesso di argomenti interpretativi che consentono di dimostrarne l’esistenza come principio non scritto della Costituzione vigente in Italia».